sabato 23 novembre 2013

ROMANTICISMO? NO GRAZIE!

Parlando di romanticismo, non ci riferiamo alle tenerezze e alle attenzioni che ci si scambiano in coppia, ma ad un vero e proprio movimento culturale e sociale sviluppatosi negli anni ’60, che ha portato la coppia a centrarsi sull’amore e sulla relazione dei due partener. Ma se questo è vero, come mai ci sono così tante coppie che falliscono? Come mai si sono incrementati in modo esponenziale il divorzio e relazioni di coppia molto brevi che non portano a un progetto condiviso, ma che spesso lasciano più ferite che soddisfazioni?

L’ideale neoromantico dell’amore si è quindi sviluppato in opposizione alla concezione della coppia basata solo su forme rigide ed esteriori, e alimentata esclusivamente dal bisogno di sopravvivenza, dell’allevamento dei figli e della buona fama, e che spesso coincideva con un sacrificio enorme soprattutto da parte delle donne. 
Una reazione certamente comprensibile ma che porta a considerare l’esperienza emotiva amorosa come l’assoluto relazionale, per cui fa poggiare un rapporto di coppia su qualcosa di momentaneo e poco realistico, anche perché se andiamo a considerare il significato e la qualità di questo amore, che tiene le coppie contemporanee, ci accorgiamo di ritrovare tanti tipi di “amore”.
L’ideale amoroso odierno tende a considerare vero amore, solo l’esperienza forte e appagante che i partener sperimentano nel periodo dell’innamoramento, e si ha la pretesa che quest’intensità possa durare per tutta la vita della coppia, per cui, se svanisce, automaticamente finisce anche la coppia. Durante il periodo dell’innamoramento, infatti, è possibile sperimentare la pienezza dell’incontro amoroso in tutto il suo fascino e la sua carica emotiva.
Nella fase dell’innamoramento la coppia è concentrata esclusivamente su se stessa e nell’apice della passionalità e della novità i due partner iniziano una danza di conoscenza e di complicità carica di potenzialità, ma che ancora non ha la possibilità di esprimersi. In questo stadio sono presenti tanti elementi illusori, proprio perché si tende a idealizzare la persona amata concentrandosi solo sugli aspetti che ci attraggono e che, in un certo modo, rispondono ai nostri bisogni più profondi di considerazione, unicità, riconoscimento e accettazione. L’elemento nevrotico comune, presente nell’innamoramento, è la tendenza alla fusione per cui le diversità si assottigliano e rimangono nello sfondo. L’innamoramento ripropone la fusione infantile con la madre e questo è evidente anche nei gesti, nei nomignoli, nel tono della voce che diventa più dolce, negli avvinghiamenti e nelle reazioni dei partner. È come se si ritornasse bambini, per cui si sperimenta una nuova energia, una nuova felicità capace di portare a gesti folli e irresponsabili. I confini tra “io” e “tu” sono molto sfumati e grazie a quest’unità ritrovata i problemi personali sembrano sparire.
Questo genera anche la dipendenza dei due, che non riescono a sopportare la distanza e nello stesso tempo permette di creare uno spazio in cui pian piano cresce l’intimità. Infatti, se durante il corteggiamento si mettono in campo solo i lati migliori e le proprie qualità, durante l’innamoramento si inizia a condividere anche la propria vulnerabilità parlando delle proprie paure e dei dolori, cominciando a raccontare le proprie esperienze negative e il proprio vissuto. In questo senso, ciascun membro inizia ad essere per l’altro un rifugio emotivo in cui si ha l’illusione di trovare, in modo incondizionato, protezione nei momenti di ansia, pericolo, stress e paura. Nello stesso tempo iniziano già a comparire gli stili relazionali propri di ciascuno, per cui ogni membro tende a riproporre la stessa modalità che ha vissuto nella simbiosi materna. Anche se tutto questo è vero, sarebbe un grave errore ridurre l’innamoramento all’analisi degli aspetti illusori e nevrotici, come fanno spesso alcuni terapeuti, perché si priverebbe la relazione delle sue migliori potenzialità, giacché in questa fase si vede realizzata, in modo magico, la relazione che sarà costruita con fatica nel corso del tempo. Rispetto a quello che abbiamo detto, è evidente il pericolo che l’altro si rivesta del ruolo del salvatore e che gli si dia la responsabilità di tappare i “buchi” affettivi, ma nello stesso tempo contiene la possibilità di dare una direzione alla propria vita, per cui si tradurrebbe in un progetto fecondo e realizzabile. L’innamoramento risulterebbe pertanto, come una visione del futuro, una promessa di pienezza, una carica fortissima a cui attingere anche nei momenti critici che verranno in seguito, per cui è importante che si viva pienamente con tutte le sue contraddizioni e nevrosi.
Se è vero che la fase dell’innamoramento è essenziale per la costruzione dell’intimità e della relazione all’interno della coppia, è altrettanto vero il pericolo di identificare l’amore solo con questo tipo di relazione. Questo è l’errore più grande dell’ideologia neoromantica[2] e che in questo capitolo cercheremo di smascherare.
 “Siamo una sola persona”. L’amore come simbiosi
Frasi ritenute romantiche, importanti e segno di un grande amore dalla cultura contemporanea, come “tu sei tutto per me”, “siamo una persona sola” “senza di te non posso vivere” o atteggiamenti ritenuti romantici, come quello di avere un profilo facebook con il nome di entrambi, invece di quello individuale, lo scambio ininterrotto di sms, l’impedimento da parte di uno dei partner di frequentare ambienti o coltivare interessi non condivisi, e così via…, nascondono invece le nevrosi e i pericoli più grandi per una relazione.
In queste frasi, infatti, e nell’ideale neoromantico, si nasconde la concezione dell’amore come simbiosi. «Partendo da questo desiderio di unità, concetti come «essere autonomi», «essere separati», «distanziati» appaiono l’esatto contrario dell’amore e, anzi, sono vissuti come minaccia al rapporto».[3] Nella simbiosi si matura la convinzione che si può essere completi solo nella coppia, per tanto si evitano gli scontri necessari per definire i confini tra l’“io” e il “tu”, e quando si arriva al conflitto, la pace deve essere ristabilita il prima possibile, perché è percepito come un pericolo alla rottura della simbiosi. L’assoluto diventa l’armonia da preservare ad ogni costo, ma questo modello trasforma la relazione in una prigione, anche se può apparire con le sbarre d’oro. Ad un certo punto però la sessualità inizia a dare segnali inequivocabili diventando meno interessante e appagante, proprio perché i due hanno smesso di essere due individui distinti e l’affievolirsi della passionalità e dell’eros è una protesta inconscia contro la simbiosi. L’individualità di ciascuno cerca in tutti i modi di riemergere, per tanto potrebbero iniziare a comparire sintomi fisici apparentemente inspiegabili come emicranie, allergie, disturbi di stomaco o depressioni. Questo accade perché, come afferma F. Perls, «l’organismo sa tutto. Noi sappiamo pochissimo»[4].
Come abbiamo accennato prima, nella fase simbiotica dell’innamoramento si ripropone la relazione del bambino con la madre, quando il suo “Io” non è ancora definito in maniera chiara e quando il bambino percepisce la madre come una parte di se e come qualcuno che è a sua completa disposizione. «Naturalmente ciò non dipende solo dalla madre. Il modo in cui il padre la sostiene, lasciando che essa sia a completa disposizione del bambino, ma anche staccandolo da lei per mostrargli il mondo, per poi riportaglielo ogni volta che lo desideri, è decisivo per il superamento di questa fondamentale fase della vita»[5]. A. Ferrara, portando il contributo della Gestalt descrive il padre e la madre come due simboli di bisogni fondamentali del bambino, attribuendo all’uno il principio di evoluzione, e all’altro quello di sopravvivenza. Per cui il bambino ha bisogno di integrare «entrambi i modelli genitoriali. […] Il bambino ha bisogno di integrare il padre, simbolo di affermazione e assertività, che gli insegna i valori e lo guida verso la propria realizzazione. Il padre rappresenta la polarità della madre che invece offre il dolce rilassamento degli abbracci fusionali e che insegna lo stare e il lasciarsi perdere nella contemplazione»[6]. Se in questo processo il bambino sarà spinto troppo presto all’autonomia, senza aver prima sperimentato un rifugio stabile e sicuro con la madre, o al contrario sarà tenuto troppo tempo nella simbiosi e nella dipendenza dalla madre, senza sperimentare la sua unicità, e quindi, senza integrare in se, le due figure genitoriali, crescerà con un deficit relazionale che tenderà a compensare nella vita adulta. Pertanto l’adulto cercherà, inconsciamente, un partner che possa restituirgli quello che non ha avuto a sufficienza nella sua infanzia.
Anche in questo caso sussiste  un’ambivalenza, come abbiamo già fatto notare, in quanto la fase simbiotica dell’innamoramento potrebbe realmente aiutare a chiudere una gestalt antica ancora aperta e quindi, guarire qualche ferita affettiva del passato. Se questo avviene però, la relazione si aprirà ad altre fasi, come quella successiva di differenziazione e crescerà nella relazione. Quando invece, rimane una condizione duratura e costante, porterà soltanto ad acuire una  fame di affetto e di sicurezza che provocherà la morte della coppia e dell’individualità e conseguentemente la ricerca continua e sempre nuova di un'altra persona che dovrà colmare i suoi deficit.
L’ideologia neoromantica oltre a proporre l’amore come simbiosi, tende a considerare il partner come il mezzo della propria realizzazione, per cui l’amore viene confuso con l’idea che l’altra persona deve farmi sentire appagato e realizzato. Anche qui ci troviamo davanti al protrarsi di un’esperienza normale e importante che si vive nell’innamoramento, quando ci si sente improvvisamente più attraenti, più forti e sicuri di sé, perché il riconoscimento del partner diventa un nutrimento fondamentale per la nostra autostima. Quando il primo partner inizia a sentire che l’altro/a non riesce a colmare il bisogno di realizzazione «comincia a rivendicare i suoi bisogni a voce alta e a lottare per soddisfarli. L’altro si sente minacciato, come se qualcosa gli venisse sottratto, e risponde a questi attacchi difendendosi e rinfacciando a sua volta»[7], perché in questa idea di amore non possono coincidere la realizzazione autonoma di entrambi e l’amore stesso, ma uno dev’essere a servizio della realizzazione dell’altro, in quanto questi, è il mezzo attraverso il quale io mi sento realizzato. Seguono una serie crescente di litigi che cercano di rimettere l’altro nel ruolo del padre o della madre, perché alla base potrebbe esserci la ricerca di un apprezzamento genitoriale deficitario. Infatti se ci fermiamo a guardare oltre la corazza di queste persone «vediamo dei piccoli bambini abbandonati che urlano cercando di attirare l’attenzione della madre, e poiché questa gliela rifiuta tentano di ottenerla con la forza.»[8]
Ma è davvero inconciliabile l’amore con l’autorealizzazione? Non è vero che l’Io trova in essa il suo pieno compimento? Anche in questo caso possiamo vedere che l’errore dell’ideologia neoromantica è quello di assolutizzare un aspetto dell’amore e renderlo una pretesa più che un cammino percorribile nell’intimità e nello scambio con l’altro/a. Effettivamente una persona trova la sua pienezza nell’amore, ma soprattutto in quello che è capace di dare e non di pretendere e rivendicare.
La fame di riconoscimento fa centrare l’individuo su se stesso e sui propri bisogni senza guardare quelli del partner, l’amore invece è un flusso costante che va dai propri bisogni a quelli dell’altro, porta cioè a donarsi all’amato senza dimenticarsi di sé. L’amore diventa maturo proprio quando, nell’intimità, si abbandona all’altro nella dinamica del dono. Questo presuppone una consapevolezza di sé e dei propri bisogni, altrimenti si potrebbe confondere con la negazione di sé e alla sottomissione, che sarebbe un altro modo nevrotico di intendere l’amore. Ecco perché dicevamo che questa realizzazione di se nell’amore costituisce il cammino della coppia e non il punto di arrivo, infatti il primo passo verso il dono di se è la consapevolezza che l’altro sia diverso da me, sia altro.
            Questa “completezza” è un’esperienza normale nell’innamoramento, ma diventa nevrotica se resiste a lungo nella coppia e si fossilizza come la pretesa che l’altro  sazi la mia fame relazionale. Questo pericolo diventa molto comune in questa società che propone stili di vita frenetici in cui non c’è spazio se non per relazioni immediate e superficiali. Dal lavoro, al condominio e alla politica ogni giorno siamo bombardati di relazioni frustranti e spesso solo di facciata, per cui la coppia diventa l’unica isola in cui si pretende di essere accolti e soddisfatti nei bisogni affettivi. Per cui, «gli uomini cercano rifugio in cure di tipo materno o nella sessualità (e la seconda spesso è solo un’altra forma della prima), e le donne in conversazioni sentimentali e intime o in tenerezze senza secondi fini. Ognuno dei due chiede all’altro di colmare una lacuna […]. Si instaura quindi il modello di coppia formata da due bambini «affamati». »[9] La conseguenza di ciò porta o alla rassegnazione nei confronti del partner, per cui la relazione diventa sempre più piatta e stanca e ci si impegna nel lavoro, sui doveri, lo si compensa con il cibo, la televisione, lo shopping e simili; oppure si cercano relazioni che compensino il bisogno di vicinanza. Per cui si moltiplicano i tradimenti o se si hanno figli, spesso, soprattutto da parte delle donne, questi diventano segretamente, i sostituti dei mariti. Il moltiplicarsi di relazioni fuori dalla coppia e triangolazioni non dipende, per la maggior parte delle volte, dalla superficialità della relazione, ma soprattutto dal fatto che si è trasferito sul partner una pretesa impossibile, che restando insoddisfatta spinge alla compensazione.
È una pretesa impossibile, proprio perché non esiste una sola persona capace di soddisfare il nostro bisogno di relazione e di vicinanza, per questo è importantissimo che la coppia, dopo un certo tempo, si apra ad altri rapporti personali, sia come coppia, sia come singoli. Per cui costruire una rete di amicizie, anche profonde, diventa l’antidoto alla pretesa assoluta e al bisogno relazionale inappagato. L’ideale contemporaneo di amore invece, vede il bisogno di altre relazioni come una minaccia alla coppia o lo legge come la fine della stessa, pertanto o la coppia termina la relazione o continua e si circonda di tradimenti e compensazioni di ogni sorta.
L’innamoramento è un periodo importantissimo e ricchissimo, ma pur sempre limitato, infatti dopo questa fase in cui la simbiosi è l’elemento più caratterizzante, ma è anche la base su cui si costruisce una futura intimità, è necessario continuare il cammino della coppia.
Ma se l’innamoramento ripropone la simbiosi del bambino con la madre, possiamo paragonare le fasi ulteriori dell’evoluzione della coppia, ad altrettanti stadi dello sviluppo della persona? In realtà a questa domanda hanno risposto E. Bader e P. Pearson[10]  che, riprendendo il modello evolutivo della psicoanalista Margaret Mahler, individuano 5 fasi in cui si organizza lo sviluppo di una relazione di coppia.
La coppia quindi, come il bambino dai zero ai tre anni, attraversa inizialmente la fase della simbiosi, che abbiamo già chiamato innamoramento e lo abbiamo argomentato ampiamente. Nel cammino di una coppia segue una fase di differenziazione, durante la quale ciascun partner inizia a cogliere le differenze rispetto all’altro; riemergono i bisogni personali e si ristabiliscono i confini, per cui emergono gli stili relazionali di ciascuno. È come se si tagliasse il cordone ombellicale.  Successivamente la coppia vive un periodo di sperimentazione. Questa fase è molto delicata perché i partner hanno il bisogno di sentirsi come individui e sperimentarsi e confrontarsi con l’esterno. Emerge il desiderio dell’autonomia e l’altro può essere percepito come limitante. Ma se la relazione di coppia resiste a questa tempesta e l’affronta creando intimità e sostenendosi in questi bisogni, si giungerà al desiderio di mettere in dialogo due individualità e condividere maggiore intimità. È questa la fase che chiamiamo di riavvicinamento. Questo è il momento in cui ciascun partener sente la possibilità di mostrare se stesso senza il timore, anche nella vulnerabilità. Dopo tutto questo cammino, si giunge finalmente alla mutua interdipendenza, nella quale si raggiunge la piena intesa, attraverso la condivisione dei valori, che stabilisce autonomia e interdipendenza.
Non sempre l’evoluzione riesce a completarsi, e questo significa l’insorgenza di problematiche più o meno dolorose, o la rottura del rapporto. Se entrambi i partner non progrediscono attraverso queste fasi evolutive, si genereranno conflitti e si avranno blocchi evolutivi, che spesso possono essere la riproposizione nella coppia dei blocchi personali di ciascun individuo.






[1] H. JELLOUSCHEK, L’arte di vivere in coppia, Edizioni Scientifiche Ma.Gi. srl, 2003, Roma, p.15
[2] Continueremo a chiamare così l’ideale d’amore della cultura contemporanea, utilizzando  l’accezione di H. JELLOUSCHEK, op. cit.
[3] Ibidem, p.29
[4] F.S.PERLS, La terapia Gestaltica parola per parola, ed. Astrolabio, 1980, Roma, p.30
[5] H. JELLOUSCHEK, op. cit. p.33
[6] A. FERRARA, Gestalt integrate: contatto, conflitto, adattamento complesso, in “Psicoterapia della Gestalt. Per una scienza dell’esperienza, Atti del IV Congresso Internazionale, ed. Centro Studi Psicosomatica, 1991, Siena, p.167
[7] H. JELLOUSCHEK, op. cit. p.49
[8] Ibidem, p.50
[9] Ibidem, op. cit., p. 58
[10] E. BADER E P. PEARSON, In Quest of the Mytical Mate. A developmental approach to diagnosis and treatment in couples therapy, Psychology Press, 1988.

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