Cari amici, vorrei proporvi parte di una recensione di un libro interessante "L' epoca delle passioni tristi" edito da Feltrinelli, che Umberto Galimberti fece nel Giugno del 2004.
[...]Si tratta di passioni che lasciano le
famiglie disarmate e angosciate all' idea di non essere in grado di provvedere
al problema che affligge uno dei loro componenti, quindi di non essere una
«buona famiglia», quando invece le passioni tristi hanno la loro origine nella
crisi della società che, senza preavviso, fa il suo ingresso nei centri di
consulenza psicologica e psichiatrica, lasciando gli operatori disarmati. In
che consiste questa crisi? Da un cambiamento di segno del futuro: dal
«futuro-promessa» al «futuro-minaccia». E siccome la psiche è sana quando è
aperta al futuro (a differenza della psiche depressa tutta raccolta nel
passato, e della psiche maniacale tutta concentrata sul presente) quando il
futuro chiude le sue porte o, se le apre, è solo per offrirsi come incertezza,
precarietà, insicurezza, inquietudine, allora «il terribile è già accaduto»,
perché le iniziative si spengono, le speranze appaiono vuote, la demotivazione
cresce, l' energia vitale implode. Per i due psichiatri francesi, e io concordo
con loro, tutto ciò è incominciato con la morte di Dio che ha segnato la fine
dell' ottimismo teologico, che visualizzava il passato come male, il presente
come redenzione, il futuro come salvezza. La morte di Dio non ha lasciato solo
orfani, ma anche eredi. La scienza, l' utopia e la rivoluzione hanno
proseguito, in forma laicizzata, questa visione ottimistica della storia, dove
la triade: colpa, redenzione, salvezza trovava la sua riformulazione in quell'
omologa prospettiva dove il passato appare come male, la scienza o la
rivoluzione come redenzione, il progresso (scientifico o sociologico) come
salvezza. […] L' Occidente, abbandonato il pessimismo degli antichi greci che,
a sentire Nietzsche: «Sono stati gli unici ad avere la forza di guardare in
faccia il dolore», si è consegnato senza riserve all' ottimismo della
tradizione giudaico-cristiana che, sia nella versione religiosa, sia nelle
forme laicizzate della scienza, dell' utopia e della rivoluzione, ha guardato
l' avvenire sorretta dalla convinzione che la storia dell' umanità è
inevitabilmente una storia di progresso e quindi di salvezza. Oggi questa visione
ottimistica è crollata. Dio è davvero morto e i suoi eredi (scienza, utopia e
rivoluzione) hanno mancato la promessa. Inquinamenti di ogni tipo,
disuguaglianze sociali, disastri economici, comparsa di nuove malattie,
esplosioni di violenza, forme di intolleranza, radicamento di egoismi, pratica
abituale della guerra hanno fatto precipitare il futuro dall' estrema
positività della tradizione giudaico-cristiana all' estrema negatività di un
tempo affidato alla casualità senza direzione e orientamento. Il futuro da
«promessa» è diventato «minaccia». […]
Per dirla con Spinoza, viviamo in un'
epoca dominata da quelle che il filosofo chiamava le «passioni tristi», dove il
riferimento non era al dolore o al pianto, ma all' impotenza, alla
disgregazione e alla mancanza di senso, che fanno della crisi attuale qualcosa
di diverso dalle altre a cui l' Occidente ha saputo adattarsi, perché si tratta
di una crisi dei fondamenti stessi della nostra civiltà. […]
Certo
nessuno si reca a un consultorio psicologico per un adolescente esordendo:
«Buongiorno dottore, soffro molto a causa della crisi storica che stiamo
attraversando». In compenso i consultori sono quotidianamente sollecitati da
genitori e insegnanti che non sanno più come far fronte all' indolenza dei loro
figli o dei loro alunni, ai processi di demotivazione che li isola nelle loro
stanze a stordirsi le orecchie di musica, all' escalation della violenza, allo
stordimento degli spinelli che intercalano ore di ignavia. Come sono
riconducibili tutti questi sintomi alla «crisi storica»? La mancanza di un
futuro come promessa arresta il desiderio nell' assoluto presente. Meglio star
bene e gratificarsi oggi se il domani è senza prospettiva. Ciò significa che
nell' adolescente non si verifica più quel passaggio naturale dalla libido
narcisistica (che investe sull' amore di sé) alla libido oggettuale (che
investe sugli altri e sul mondo). In mancanza di questo passaggio, bisogna
spingere gli adolescenti a studiare con motivazioni utilitaristiche, impostando
un' educazione finalizzata alla sopravvivenza, dove è implicito che «ci si
salva da soli», con conseguente affievolimento dei legami emotivi, sentimentali
e sociali. La mancanza di un futuro come promessa non conferisce ai genitori e
agli insegnanti l' autorità di indicare la strada. Tra adolescenti e adulti
subentra allora un rapporto «contrattualistico» dove genitori e insegnanti si
sentono continuamente tenuti a giustificare le loro scelte nei confronti del
giovane, che accetta o meno ciò che gli viene proposto in un rapporto
ugualitario. Ma la relazione tra giovani e adulti non è simmetrica, e trattare
l' adolescente come un proprio pari significa non contenerlo, e soprattutto
lasciarlo solo di fronte alle proprie pulsioni e all' ansia che ne deriva.
Quando i sintomi di disagio si fanno evidenti l' atteggiamento dei genitori e
degli insegnanti oscilla tra la coercizione dura (che può avere senso quando le
promesse del futuro sono garantite) e la seduzione di tipo commerciale di cui la cultura berlusconiana che si va diffondendo è un esempio. Senonché anche i
giovani di oggi devono fare il loro Edipo, devono cioè esplorare la loro
potenza, sperimentare i limiti della società, affrontare tutte le funzioni
tipiche dei riti di passaggio dell' adolescenza, tra cui uccidere simbolicamente
l' autorità, il padre. E siccome questo processo non può avvenire in famiglia
dove, per effetto dei rapporti contrattuali tra padri e figli, l' autorità non
esiste più, i giovani finiscono col fare il loro Edipo con la polizia,
scatenando nel quartiere, nello stadio, nella città, nella società la violenza
contenuta in famiglia. Sono, questi, due esempi dei molti che gli autori del
libro illustrano per mostrare il nesso tra il passaggio storico del futuro come
promessa al futuro come minaccia e le manifestazioni psico (pato) logiche del
disagio dei giovani che non riescono più a percepire l' integrazione sociale,
l' acquisizione dell' apprendimento, l' investimento nei progetti, come
qualcosa di connesso a un loro desiderio profondo, che è poi il desiderio di
desiderare la vita. A ciò si aggiunga che le passioni tristi e il
fatalismo non mancano di un certo fascino, ed è facile farsi sedurre dal canto
delle sirene della disperazione, assaporare l' attesa del peggio, lasciarsi
avvolgere dalla notte apocalittica che, dalla minaccia nucleare a quella
terroristica, cade come un cielo buio su tutti noi. Ma è anche vero che le
passioni tristi sono una costruzione, un modo di interpretare la realtà, non la
realtà stessa, che ancora serba delle risorse se solo non ci facciamo
irretire da quel significante oggi dominante che è l' insicurezza. Certo la
nostra epoca smaschera l' illusione della modernità che ha fatto credere all'
uomo di poter cambiare tutto secondo il suo volere. Non è così. Ma l'
insicurezza che ne deriva non deve portare la nostra società ad aderire
massicciamente a un discorso di tipo paranoico, in cui non si parla d'
altro se non della necessità di proteggersi e sopravvivere, perché allora si
arriva al punto che la società si sente libera dai principi e dai divieti, e
allora la barbarie è alle porte. Se l' estirpazione radicale dell' insicurezza
appartiene ancora all' utopia modernista dell' onnipotenza umana, la strada da seguire
è un' altra, e precisamente quella della costruzione dei legami affettivi e
di solidarietà, capaci di spingere le persone fuori dall' isolamento nel quale
la società tende a rinchiuderle, in nome degli ideali individualistici che, a
partire dall' America, si vanno paurosamente diffondendo anche da noi.