sabato 23 novembre 2013

A CHE GIOCO GIOCHIAMO?

Nelle relazioni di coppia e in generale, nella nostra vita relazionale, spesso ci troviamo a vivere schemi ricorrenti che sembrano predestinare il finale, per quanto vorremmo che andasse diversamente; è come se i nostri rapporti rispondano a schemi predefiniti e che portino sempre alla stessa conclusione.

Eric Berne, il padre dell’Analisi Transazionale,  ha definito questa dinamica con un termine preciso: GIOCO. Non per l’aspetto ludico, ma per il fatto che in queste situazioni ogni partecipante riveste un ruolo preciso, sta a delle regole, o manovre, precise e tende a raggiungere sempre lo stesso scopo.  Egli afferma che « Si gioca, dunque, nel tentativo di vedere soddisfatte le proprie necessità sociali fondamentali ma, poiché chi gioca rimette in atto quegli schemi disfunzionali relazionali appresi nel corso del proprio sviluppo infantile, tali bisogni, così come nel passato, rimangono insoddisfatti[1]
         È facile capire che si sta giocando, quando ci si accorge che le varie relazioni di coppia finiscono tutte allo stesso modo, quando ci si innamora sempre della stessa tipologia di persone, quando i litigi continuano sempre seguendo lo stesso clichè, quando gestiamo i conflitti sempre nello stesso modo e alla fine ci lasciano sempre la stessa emozione, e così via… tutto questo perché i giochi sono ripetitivi.
La persona ricorre al gioco quando non si sente sufficientemente apprezzata dal partner o crede di non ricevere adeguata considerazione ed importanza. Per soddisfare queste esigenze ripropone, senza rendersi conto, quelle strategie che nell'infanzia erano state funzionali, ma che nel contesto presente risultano inappropriate.
Alla base dei giochi psicologici possono esserci molteplici ragioni:
·        Ottenere attenzione e importanza: attraverso il gioco si diventa riconoscibili agli occhi del partner, che è costretto a dedicare attenzione, ascoltando, aiutando, rispondendo alle critiche.
·        Garantire il senso di sicurezza: il gioco essendo ripetitivo consente di strutturare la vita di coppia in schemi relazionali prevedibili, offrendo sicurezza a entrambi i partner.
·        Evitare l'intimità: il gioco permette di mantenere rapporti emotivamente intensi, senza svelare all'altro la propria vulnerabilità.
·        Giustificare un attacco contro il partner, cui addossare la responsabilità dei propri stati d'animo negativi o attribuirgli la colpa di eventi che potrebbero intaccare la propria autostima.
·        Confermare le proprie convinzioni su se stessi, elaborate nel corso della propria storia personale, cercando verifiche su quello che la persona pensa di essere o che gli altri pensano che sia.
Pertanto si gioca nel tentativo di soddisfare le proprie esigenze emotive, ma poiché nel gioco sono riproposte strategie superate, i reali bisogni rimangono insoddisfatti. 

Sabrina D'Amanti afferma: «La mia personale ricerca mi porta alla conclusione che il fattore organizzativo intorno a cui un gioco si struttura (cioè prende la sua forma e caratteristica) sia dato dalle convinzioni di copione e dal corrispettivo obiettivo di smentirle, al fine di ricavare l'illusoria sensazione di aver disattivato l'effetto doloroso che esse producono. I giochi si svolgono fuori dalla consapevolezza Adulta, come vari autori hanno evidenziato, poiché le convinzioni di copione che lo motivano sono inconsce, così come il bisogno ad esse correlato di smentirle.»[2]
Secondo E. Berne l'educazione è il processo durante il quale il bambino impara, attraverso processi di adattamento, a scegliere quali saranno i ruoli e i giochi che attiverà nelle sue relazioni. Una volta che il gioco si è strutturato in uno schema fisso di stimolo e risposta, l'origine della nascita o del perché della scelta di un determinato gioco, si dimenticano.
Questo rende difficile recuperare, se non attraverso adeguati strumenti quali il counseling o la Terapia, la genesi, le decisioni, le scelte che hanno portato alla scelta del gioco da giocare.
        
Il primo passo per porre fine ai giochi, consiste nella consapevolezza dei giochi e del ruolo ricoperto all'interno di questi. Dinnanzi a un'interazione in cui si pensa “È successo di nuovo!”, è utile cercare di identificare quali sequenze di comportamenti tendono a ripetersi e come si contribuisce alla loro realizzazione. Successivamente è importante la scelta di rifiuto/interruzione del gioco.
Quando si riconosce che una determinata dinamica corrisponde a un gioco, è possibile rifiutarsi di entrare in quello proposto dall'altro, fornendo una risposta diversa rispetto alle aspettative di questi (non agganciando l'anello). Mentre, quando s'intuisce di aver innescato il meccanismo, questo può essere interrotto, attivando comportamenti diversi da quelli consueti, che consentano di retrocedere dall'escalation. Ad esempio nel gioco «Perché non... Sì ma...», il giocatore che offe consigli può fornire una risposta del tipo: “Non so cos'altro dirti!”. Mentre il secondo giocatore può uscire dal ruolo ricoperto, con una reazione del tipo: “Grazie, rifletterò su quello che mi hai suggerito”.
È ovvio che un gioco non si smonta immediatamente, ma è necessario perseverare nelle nuove risposte ed essere realmente motivati a interrompere la dinamica.
Mentre i giochi sono una fuga dall’intimità, decidere di smettere di giocare fa crescere l’intimità, anche quando ancora non è stato del tutto disinnescato. Il partner che per primo si accorge del gioco, ne parla all’altro e attraverso una buona dose di ironia, smonta la tensione che, invece di essere indirizzata al litigio, diventa motivo di intimità.
Il primo obiettivo del counselor o del terapeuta, è quello di rendere la persona consapevole del tipo di gioco che tende ad instaurare e chiarire i meccanismi che involontariamente attiva. La consapevolezza, permette di controllare il circolo vizioso del gioco e di attribuire un significato ai comportamenti di rifiuto, rabbia, aggressività che si manifestano nelle relazioni affettive.
Il secondo obiettivo è quello di sbloccare il meccanismo ripetitivo del gioco: inizialmente accompagnando la persona a recuperare lo "spazio di riflessione" soppresso dalle reazioni automatiche. Poi incoraggiandola a sperimentare comportamenti "alternativi", appropriati alla situazione presente, con cui sostituire quelli consueti e disfunzionali. In questo modo, diventa possibile gestire la dinamica del gioco, evitando di agganciare quello proposto dall’altro e bloccando il fluire del proprio.
Infine, è necessario disattivare il "tornaconto" negativo. Il gioco psicologico è finalizzato a ottenere riconoscimenti, ma poiché vengono utilizzate strategie inadeguate, l'esito è diverso rispetto alle aspettative. L'eliminazione della ricompensa negativa implica l'utilizzo di modalità più esplicite e dirette per manifestare le proprie richieste emotive.
La vita adulta, in quanto tale, rende disponibile un vasto repertorio di risorse, cui la persona può attingere per esprimere bisogni e sentimenti, tendendo conto dell'esperienza individuale dell'altro e della situazione contingente.
La liberazione dai giochi psicologici permette di costruire un rapporto affettivo basato su aspettative realistiche e sentimenti di reciprocità, quali punti di partenza per una relazione gratificante ed arricchente per entrambi i partner.



[1] E.BERNE, Ciao!...E poi?. La psicologia del destino umano, ed. Tascabili Bompiani, 2008,      Milano,p.150
[2] S. D'AMANTI, I giochi dell'Analisi Transazionale, ed. Xenia, 2011, Milano, pag. 24


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